Too much and too long, we seem to have surrendered community excellence and community values in the mere accumulation of material things. Our gross national product ... if we should judge America by that - counts air pollution and cigarette advertising, and ambulances to clear our highways of carnage. It counts special locks for our doors and the jails for those who break them. It counts the destruction of our redwoods and the loss of our natural wonder in chaotic sprawl. It counts napalm and the cost of a nuclear warhead, and armored cars for police who fight riots in our streets. It counts Whitman's rifle and Speck's knife, and the television programs which glorify violence in order to sell toys to our children. Yet the gross national product does not allow for the health of our children, the quality of their education, or the joy of their play. It does not include the beauty of our poetry or the strength of our marriages; the intelligence of our public debate or the integrity of our public officials. It measures neither our wit nor our courage; neither our wisdom nor our learning; neither our compassion nor our devotion to our country; it measures everything, in short, except that which makes life worthwhile. And it tells us everything about America except why we are proud that we are Americans. Robert Kennedy, Kansas 18 March 1968.
| In illustrating some of the chief sources of external diseconomies no attempt was made to disguise the author's conviction that the invention of the private automobile is one of the great disasters to have befallen the human race. Illustrando alcune delle principali fonti delle diseconomie esterne nessun tentativo è stato fatto di nascondere la convinzione dell'autore che l'invenzione dell'automobile privata è una delle grandi sciagure abbattutesi sul genere umano. Ezra J.Mishan, The Costs of Economic Growth, Concluding remarks, London 1967. |
Le società contemporanee sono letteralmente ossessionate dal mito della crescita; la crescita economica, su tutto quella del P.I.L. prodotto interno lordo è diventata un dogma di fede dal quale ben poche persone e ben pochi movimenti politici osano allontanarsi. Non ha alcuna importanza che questa crescita venga ottenuta producendo armi, veleni, automobili o qualsiasi altra cosa; l'unica cosa che conta è che contribuisca alla crescita del PIL.
La critica a questo culto del PIL non è certamente nuova. Rimane famoso il discorso di Robert Kennedy nel marzo 1968 contro la religione del GNP - Gross National Product, l'equivalente USA del PIL italiano. Viene spesso citato, ma non ebbe molto seguito, e gli USA restano ferreamente ancorati al culto del GNP, e come tutto quel che c'è di buono e di cattivo negli USA viene automaticamente esteso a livello mondiale.
Uno dei primi critici del mito della crescita fu l'economista inglese Ezra Joshua Mishan, citato molte volte in queste pagine per le sue frasi contro il mito dell'automobile. Nacquero negli stessi anni il club di Roma e la proposta della crescita zero.
Fu poi il matematico ed economista romeno Nicholas Georgescu-Roegen a spingersi oltre passando dalla crescita zero alla decrescita. Oggi è l'economista francese Serge Latouche a riproporre quelle idee, (in francese Décroissance).
L'industria dell'automobile è considerata un volano dell'economia proprio perché fa crescere il PIL come poche altre industrie, forse solo l'industria bellica è altrettanto efficiente nel farlo aumentare. E non è certo l'unica analogia tra industria bellica e industria dell'automobile.
Anche gli incidenti automobilistici contribuiscono ad aumentare il PIL, infatti impongono costi elevati per riparare o sostituire le auto danneggiate o distrutte e altri costi per curare i feriti. Un po' come le guerre che fanno crescere, ovviamente, l'industria bellica, e anche distruggendo edifici e infrastrutture varie fanno ugualmente crescere il PIL imponendo grosse spese per la ricostruzione.
Non c'è dubbio quindi che in una autentica proposta di decrescita l'industria automobilistica e petrolifera dovrebbero essere i bersagli principali, quelli che più di ogni altro devono decrescere.
Perché appare ovvio che una proposta di decrescita non può essere generalizzata nella stessa misura a tutti i settori economici, per esempio non sembra molto ragionevole proporre la decrescita della produzione alimentare laddove la popolazione continua ad aumentare. Prima semmai si dovrebbe frenare il boom demografico. Però ha molto senso proporre la decrescita dell'alimentazione animale a favore di quella a base di vegetali. In generale per produrre un kg di carne (o di formaggio) si devono usare molte più risorse che per produrre un kg di vegetali ricchi di proteine, come del resto si può verificare al supermercato confrontando il prezzo di un kg di carne o di formaggio con quello di un kg di ceci o di fagioli.
Secondo la stessa logica si dovrebbe incoraggiare la decrescita dei sistemi di trasporto più costosi in termini di risorse, su tutti automobile e motociclette, ma anche aerei, a favore di sistemi di trasporto meno costosi, la bicicletta su tutti (vedi anche la pagina sui costi energetici) ma anche i trasporti pubblici.
Purtroppo in un mondo dominato dal mito della crescita a qualsiasi costo avviene esattamente il contrario: si privilegiano i mezzi di trasporto più costosi perché fanno crescere il PIL, e per lo stesso motivo si privilegia un'alimentazione a base di carne rispetto alla più economica alimentazione vegetariana. Qui il mito della crescita si fonde con quello degli stili di vita lussuosi. Si preferisce usare l'auto e mangiare carne proprio perché essendo costosi sono visti come simbolo di ricchezza e di lusso!
La follia di fondo di questa religione del PIL o GNP può essere paragonata a quella della corsa dei lemming, i piccoli roditori scandinavi che secondo una leggenda scientifica si lancerebbero periodicamente in una folle corsa destinata a concludersi precipitando in mare in uno spettacolare suicidio di massa. I lemming corrono all'impazzata, ogni lemming non sa dove stia andando ma vede tutti gli altri lemming che corrono tutti nella stessa direzione e capisce una sola cosa, che deve correre anche lui, che non deve restare indietro, che deve stare al passo ... il tutto appunto senza sapere bene dove sia diretto, la corsa dei lemming è fine a se stessa.
Corsa folle eppure un lemming anticonformista o deviante che si ribellasse a questa follia cercando di rallentare o fermare la corsa rischierebbe solo di essere travolto e schiacciato dalla massa dei lemming lanciati nella loro folle corsa.